Ario, una nuova sede per guardare al futuro con dinamismo e sostenibilità
Ario è un piccolo gioiello italiano nel settore della stampa di etichette e packaging. Inizia a produrre etichette nei primi anni Duemila, e in breve si afferma sul mercato italiano come produttore di riferimento nel Nord Italia e di recente ha superato la soglia dei cento dipendenti. Un mese fa l’inaugurazione della nuova sede di Pontoglio (BS), un capannone che rappresenta un investimento non solo per la crescita ma anche per la sostenibilità.
L’azienda è tuttora guidata dai due soci fondatori Marco Borali e Massimiliano Marulli che in questa intervista ci raccontano com’è nata la loro idea imprenditoriale, come hanno raccolto successi e affrontato le difficoltà degli ultimi anni e come vedono il futuro del settore.
Quando, dove e da chi è stata fondata la vostra azienda?
L’abbiamo fondata nel 1996, ma abbiamo iniziato a produrre etichette nel 2002: dapprima soltanto etichette neutre, poi nel 2006 con la prima macchina OMET, una Flexy, abbiamo iniziato a fare anche etichette colorate: è una macchina eccezionale che abbiamo ancora oggi e con la quale riusciamo a ottenere risultati unici.
Come è nata l’idea imprenditoriale?
Conoscevamo già il mondo della stampa come commerciali, ma eravamo ai margini del settore. Abbiamo iniziato a pensare di prendere una macchina per produrre autonomamente alcune etichette perché chi ce le forniva spesso era troppo lento. Da lì in poi abbiamo iniziato a progredire ogni anno: aumentavano le richieste, acquistavamo nuove macchine, e ci siamo aperti al mercato affermandoci a livello italiano.
Lo sviluppo è culminato in questa nuova sede…
Siamo cresciuti all’interno dei capannoni di Grumello del Monte (BG), dove ci siamo espansi occupando gradualmente spazi aggiuntivi nell’area industriale. Tre o quattro anni fa è nata l’esigenza di trovare un posto più adatto a ciò che era diventata Ario, e a fine 2021 abbiamo individuato questa struttura a Pontoglio (BS). Ci siamo trasferiti proprio quest’anno.
Quali sono le aree di prodotto di cui vi occupate e quali le più importanti?
La stampa flexo ha iniziato subito a crescere dopo il 2006 con l’acquisto della prima macchina Flexy e le successive macchine OMET XFlex X6. Circa 7-8 anni fa abbiamo acquistato anche la prima digitale. Entrambe le tecnologie sono cresciute e abbiamo acquisito due aziende, una a Torino e una a Venezia: avevano già un parco macchine che però abbiamo rinnovato inserendo anche offset e serigrafie. Oggi queste aziende, inizialmente acquisite per ragioni di espansione geografica, si stanno caratterizzando su alcune lavorazioni che facciamo solo in una o nell’altra sede. C’è un ottimo interscambio tra i nostri siti produttivi.
Quale tecnologia sta crescendo maggiormente?
La flexo sta crescendo tanto, ma anche il digitale, e non solo per piccole tirature. Facciamo continui investimenti nelle tecnologie più avanzate e formazione professionale per far crescere le nostre persone.
Come avete deciso di investire nella tecnologia OMET?
Cercavamo l’affidabilità. Conoscevamo il nome di OMET ma non le caratteristiche della sua offerta. Confrontando diversi player, ci siamo orientati su OMET anche per la vicinanza geografica. Oggi abbiamo 6 macchine OMET.
È vero che battezzate le macchine con nomi femminili?
Sì è vero. La prima è stata Matilde. I primi erano nomi presi dai film della Walt Disney, poi abbiamo diversificato perché non bastavano più! Oggi abbiamo inserito anche qualche nome maschile. Così conosciamo per nome le nostre macchine, e sappiamo sempre identificarle parlando di loro. Raccontiamo sempre come aneddoto simpatico quando viene chiesto “un intervento su Wendy” e gli esterni non capiscono di chi parliamo.
Cosa apprezzate maggiormente delle macchine OMET?
La serietà e la presenza di alcune figure di riferimento sulle quali sappiamo di poter contare quando abbiamo bisogno. L’azienda è fatta di persone e il rapporto di fiducia che si crea è fondamentale.
Quanto è grande oggi la vostra azienda?
Abbiamo 105 dipendenti e 23 milioni e mezzo di fatturato. Abbiamo circa 10mila metri quadrati coperti di produzione su 3 siti produttivi.
Qual è il tratto distintivo con cui vi proponete al mercato?
Lavoriamo tutti i giorni con passione, che tra l’altro è anche il motto di OMET. Poi sicuramente conta la “fame”: non ci accontentiamo. Il risultato che facciamo – anche se è un gran bel risultato – per noi è già passato e ci poniamo nuovi obiettivi cercando sempre di crescere. Non è una cosa scontata. Poi sicuramente siamo bravi sulla tecnica di stampa e investiamo continuamente, sia per la crescita interna sia sul servizio al cliente e sulla sostenibilità.
Che valore date alla sostenibilità?
Uno dei principali motivi per il quale ci siamo trasferiti è quello di completare il percorso di sostenibilità e ottenere tutte le certificazioni in questo campo. In questo capannone di proprietà abbiamo potuto impostare tutto in base ai principi di sostenibilità più evoluti: per noi non è una questione di immagine o di facciata, crediamo nel valore della sostenibilità e vogliamo essere pronti per le richieste che stanno arrivando dalle istituzioni. Tutto il personale è coinvolto verso questo obiettivo: cerchiamo di differenziare i rifiuti e riciclare il più possibile, ad esempio. Abbiamo anche investito su strumenti come spettrofotometri per recupero del colore e altre tecnologie per ridurre gli scarti di produzione.
Come avete affrontato le difficoltà degli ultimi anni? (pandemia, guerra, rialzo materie prime)
Ogni anno è stato difficile con caratteristiche diverse e inaspettate l’uno dall’altro. Durante il Covid eravamo proprio al centro della pandemia, qui a Bergamo, ma al di là dei due mesi di chiusura completa abbiamo continuato a lavorare, anche se persisteva il timore che qualcuno si ammalasse. L’aumento indiscriminato del prezzo delle materie prime invece è stato veramente difficile. Ario ha dovuto fare uno sforzo economico importantissimo per acquistare più materie il prima possibile, tra l’altro senza un prezzo esatto di riferimento. Abbiamo preso un magazzino esterno per stoccare le scorte e nel frattempo cercare di non perdere i clienti. Tutti gli anni, insomma, ci si presentava una prova da superare, e tutto questo mentre stavamo investendo in questo nuovo sito produttivo.
Come vedete l’evoluzione del mercato nel prossimo futuro?
Visti gli ultimi anni, cerchiamo di pensare positivo. Ma non posso essere preciso: in questo periodo la difficoltà è proprio quella di fare un piano di crescita perché ci sono troppe variabili e non sarebbe affidabile. Il mercato era come “drogato” nel 2022, tutti cercavano di accaparrarsi quote importanti di prodotto, e poi di colpo si è fermato: l’aumento dei prezzi ha bloccato i consumi e di riflesso abbiamo ricevuto meno richieste di etichette. Ogni famiglia ha subito aumenti delle bollette, dei tassi, del carrello della spesa: sta soffrendo perfino il settore food in tutta Europa.
Attualmente, abbiamo problemi anche a trovare nuove risorse sul mercato del lavoro: non sappiamo dire di chi sia la responsabilità ma riscontriamo un problema di diseducazione verso il lavoro, anche se non si tratta di lavori pesanti oppure usuranti. Speriamo che si vada in futuro in una direzione diversa, più positiva.